Come integrare Potere e Vulnerabilità

Per lungo tempo la vulnerabilità è stata considerata nella sua accezione più negativa come debolezza o fragilità. Per questo spesso tendiamo a nasconderla o ignorarla. Ci vergogniamo a esporci quando ci sentiamo vulnerabili e, quindi, non all’altezza, non abbastanza “metti tu l’aggettivo o la parola che preferisci”.

Anni fa anche io credevo che esponendo le mie fragilità e rendendomi vulnerabile avrei rischiato che la mia sensibilità fosse ferita. Vulnerabile significava “mettere in cattiva luce la mia persona”.

Poi ho iniziato a leggere alcuni testi che mi hanno portato a riflettere su come molte delle emozioni e dei momenti che hanno lasciato un segno indelebile, positivo e profondo dentro di me siano stati – in qualche modo – determinati dal mio tentativo di aprirmi e mostrare una parte più nascosta di me.

Mostrare non solo la parte forte, a tratti anche dura e con la risposta pronta. Ma anche quella più spontanea, a volte goffa e piena di colori dati dai tanti lati meno frequentati del mio essere.

Credo fortemente che rendersi vulnerabile sia un rischio che vale la pena correre. Spesso scopriremo che ciò che pensavamo o ciò che ci tratteneva dall’esporci ci stava impedendo di vedere la realtà da una prospettiva più potente.


Cosa c’è di positivo nella vulnerabilità?

La parola vulnerabilità è composta da vulnus, che significa “ferita”, e dal suffisso abilis che indica la “possibilità”. La possibilità di venire feriti. Cosa accadrebbe se ci soffermassimo solo su una parte del significato, quello di possibilità? E se guardassimo la vulnerabilità da questa prospettiva?

Mostrarsi per ciò che si è in modo autentico e spontaneo (anche rischiando di sbagliare, di non essere compresi o accolti) offre la possibilità di vedere molta più bellezza dentro e intorno a noi.

Quando iniziamo a renderci vulnerabili anche gli altri si sentono più propensi a farlo. Doniamo così la possibilità anche a loro di aprirsi e sbocciare con tutti i loro colori.

Quando penso alla vulnerabilità mi viene in mente la  scena finale del film  Little Miss Sunshine.

In questa scena la protagonista Olive vive il sogno di ballare durante un concorso di bellezza con assoluta apertura senza paure, giudizio, insicurezza.

Le persone a lei care – per proteggerla dal tentativo di alcuni organizzatori del concorso di farla sentire inadeguata – invece di allontanarla dal palco iniziano a ballare con lei divertendosi.

Qui accade qualcosa di emozionante e magico che mostra come tutto cambia se consentiamo a noi stessi di esprimere il nostro lato più vulnerabile.


Perché mostrarsi vulnerabili è un super potere?

Renderci vulnerabili significa: mostrarci per come siamo; andare oltre la paura, il giudizio, il controllo, la vergogna, l’insicurezza, i dubbi e dare piena espressione alla nostra vera essenza.

I bambini lo fanno con naturalezza senza doversi impegnare. Noi adulti, invece, abbiamo bisogno di lavorarci su. Negli anni siamo stati molto bravi a costruirci una distesa infinita di pregiudizi, convinzioni, blocchi, paure, resistenze che rendono difficile spingerci in contesti non familiari.

Ma è proprio nell’essere vulnerabili che accediamo a parti di noi che non conoscevamo. Scopriamo le nostre potenzialità e ci vediamo nella nostra interezza.

Quando ti rendi vulnerabile, permetti anche agli altri di farlo e spesso scopri che dall’altra parte c’è una persona diversa da quello che pensavi. Provi un senso di unione e condivisione che ti fa sentire in risonanza e in armonia con quella persona.

Ricordo quando durante un corso mi sono alzata davanti ad alcune persone che fino a poche ore prima avevo sentito molto distanti da me e ho condiviso cosa mi portavo via da quell’esperienza. Nel rendermi vulnerabile e raccontare come era cambiata la mia percezione verso di loro, ho sentito un’emozione e un’energia molto forte salire attraverso il mio corpo. Mi sono sentita profondamente connessa con quelle persone.


Cosa ci rende vulnerabili e come accogliere la nostra vulnerabilità?

Nasciamo vulnerabili e rimaniamo tali per un lungo periodo di tempo, e forse per tutta la vita.

Man a mano che cresciamo è nostro compito riconoscere la nostra vulnerabilità, accoglierla, integrarla e non lasciarci fagocitare o sabotare da essa.

È probabile che nell’infanzia siano accaduti episodi che hanno ferito la nostra parte innocente e bambina che non era preparata a processare quegli accadimenti. O meglio non aveva gli strumenti e le informazioni necessarie per farlo in modo consapevole e funzionale alla costruzione della propria autostima e dell’amore verso sé stessi.

Quel sé bambino non ci abbandona, anzi ce lo portiamo con noi anche quando siamo adulti. Se non facciamo un corretto lavoro di ascolto e accoglienza del nostro sé più vulnerabile, si verificheranno momenti in cui emergeranno emozioni con una forza almeno pari alla quantità di volte in cui l’abbiamo ignorato, azzittito e non ascoltato.

Pensa a tutte le volte in cui ti sei sentita scoperta o ferita e non l’hai comunicato. Anzi hai subito cercato di insabbiare le tue emozioni. O magari qualcun altro vicino a te si è comportato in modo da spingerti ad adottare un atteggiamento di chiusura semplicemente perché a sua volta nessuno gli aveva insegnato come accogliere la sua vulnerabilità.

Per questo è importante iniziare il prima possibile un lavoro di ascolto profondo della tua vulnerabilità con lo scopo di accoglierla e poi successivamente mostrarla agli altri in modo sano e consapevole.


Come guardare la vulnerabilità in modo nuovo?

Brené Brown ha scritto un libro che parla proprio di vulnerabilità che si intitola Osare in grande. Questo libro ha contribuito a sdogare il preconcetto che considerava l’essere vulnerabili come qualcosa di cui vergognarsi. Anzi ha completamente ribaltato la percezione che molti avevano della vulnerabilità sostenendo fermamente che essere vulnerabili significa essere coraggiosi.

“La vulnerabilità non è debolezza. E quel mito è profondamente pericoloso. La vulnerabilità è la culla dell’innovazione, della creatività e del cambiamento.” Brené Brown

Ho amato subito questa prospettiva “quasi” rivoluzionaria che cambia completamente il significato di vulnerabilità.

Imparare a essere consapevoli e a fare esperienza della nostra vulnerabilità è uno dei compiti più significativi che incontriamo nel nostro percorso di trasformazione.

Facendo un adeguato lavoro su questo stato possiamo acquisire e accrescere il nostro potere personale o come preferisco chiamarlo “potere creativo”.


Potere e vulnerabilità: come sono connessi?

Potere e vulnerabilità fanno parte di un continuum di cui sono gli estremi. Il polo del potere è il nostro “genitore” (la parte controllante che ci protegge) e il polo della vulnerabilità è il nostro bambino. Le nostre energie sono in constante movimento entro questi due estremi.

Tendiamo spesso ad identificarci con un estremo del continuum di potere e a rinnegare l’altro. E questo può renderci incapaci di gestire le nostre energie, sia dentro di noi sia in rapporto ad altre persone.

Lo sviluppo di un sé consapevole che osserva come un testimone esterno e integra gli aspetti funzionali di potere e vulnerabilità è uno degli scopi principali del lavoro di trasformazione. Esso conduce all’acquisizione del nostro potere interiore.

Se ti stai chiedendo cosa ti può aiutare concretamente a farlo, qui sotto trovi la risposta.

Puoi iniziare un percorso di coaching mirato a mettere a fuoco le parti del tuo sé controllante e le parti del tuo sé vulnerabile per capire come integrarle in modo armonico e consapevole. Se ti interessa approfondire, richiedi una telefonata informativa gratuita qui.


Note conclusive

Il nostro sé si compone di una moltitudine di parti. Negli anni vari illuminati hanno parlato di questa moltitudine:

  • Luigi Pirandello in “Uno, nessuno, centomila”

  • Fernando Pessoa in “Una sola moltitudine”

  • Nietsche quando scriveva:

“Talvolta dobbiamo riposarci da noi stessi, guardando in profondità dentro di noi, da una distanza artistica; dobbiamo saper ridere e piangere di noi; dobbiamo scoprire l’eroe e anche il buffone che si nasconde nella nostra passione di conoscenza; dobbiamo ogni tanto essere contenti della nostra pazzia, se vogliamo poter essere ancora contenti della nostra saggezza.”

  • Walt Whitman quando scriveva:

Mi contraddico? Certo che mi contraddico! Sono vasto, contengo moltitudini.”

Su questo fondamento si basa anche una tecnica messa a punto da due psicologi negli anni 70 che si chiama “Voice dialogue” (dialogo delle voci). Si tratta di una tecnica di ascolto dei sé che compongono la nostra personalità.

Il voice dialogue nasce dalla teoria degli archetipi di Jung, ha una traccia di Gestalt (in particolare rispetto alla tecnica delle due sedie), si riferisce anche alla psicosintesi di Assagioli quando si parla del se supremo che osserva altre parte di noi. Fa riferimento anche a Virginia Satir (fondatrice della PNL) quando individuava dentro di noi diverse figure che lei aveva chiamato il propiziatore, l’accusatore, il calcolatore e lo svagato. E si collega anche all’analisi transazionale di Bern quando parla di 3 figure: quella del bambino, del genitore e dell’adulto.

Un passaggio dell’analisi transazionale:

Ogni tanto la gente muta atteggiamenti, punti di vista, voce, vocabolario e altri aspetti del comportamento. Insieme col comportamento spesso anche cambia il modo di sentire. In un determinato individuo un certo tipo di comportamento corrisponde a un particolare stato psichico, mentre un altro è in rapporto con un atteggiamento psichico diverso. Spesso incompatibile con il primo. Questi cambiamenti e differenze suggeriscono il concetto di stati dell’io (tratto dal libro “A che gioco giochiamo” di Eric Bern).

In questo lavoro si parte sempre dal presupposto che tutte le parti hanno un ruolo importante e funzionale. E’ come se componessero un’orchestra. Nessuna parte può essere ignorata o rinnegata. Anzi è fondamentale metterla a fuoco, ascoltarla e renderla parte attiva per acquisire maggiore consapevolezza e creare armonia dentro di sé.

I passaggi fondamentali di questo lavoro sono:

  • Riconoscere e ascoltare tutte le parti.
  • Prendersi cura di ognuna di esse e comprenderne i bisogni.
  • Creare il giusto equilibrio tra tutte le parti che compongono il proprio sé.

Per completare questi passaggi, occorre adottare un punto di osservazione obiettivo e neutrale e porsi le giuste domande, anche e soprattutto quando dentro di noi sembra esserci un gran caos o una confusione disarmante.

Solo così possiamo fare luce sulla nostra ricchezza interiore e fare scelte veramente libere, autentiche e consapevoli.




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